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Song:0556 - 19.03.1980 - Il terrorismo attuale. - Il potere e l'utopia. . Problemi cosmologici.
Album:Andrea.1980Genres:Voce
Year:1980 Length:3927 sec

Lyrics:

Napoli – 19.03.1980

Il terrorismo attuale.
Il potere e l’utopia.
Problemi cosmologici.



A.: Riprendiamo adunque le nostre cose nel nome del Signore.

Subitamente io mi pongo all’ascolto delle vostre domande, ditemi.



D.: Qualcuno ha qualche domanda di una certa importanza?

Altrimenti converrebbe andare avanti con le vite fino a esaurire questo argomento, come abbiamo detto l’altra volta.

A.: Meglio di no, questa sera.

D.: Io non so se è di qualche importanza, avrei io una domanda.

La mia è una domanda ancorata alla vita, alla realtà che stiamo vivendo in questi giorni soprattutto e in questi ultimi anni, cioè al diffuso terrorismo che c’è nel mondo.

Terrorismo in senso proprio materiale della parola, ci si ammazza ormai a viso coperto, a viso scoperto.

Però, ci sono delle differenze.

Perché, mentre in alcuni paesi del mondo ci sono dei validi motivi perché certi gruppi si armino e lottino contro lo Stato o contro altri gruppi, come per esempio in Spagna, dove c’è una zona che vuole una certa indipendenza, in Irlanda perché c’è ancora in corso la guerra addirittura di religione tra Protestanti e Cattolici, nei paesi dell'America latina perché si vuole più libertà, acquisire altri diritto sociali, in Italia il terrorismo ha un aspetto particolare, cioè dei risvolti particolari, non ha niente in comune con tutta questa serie di motivi.

Cioè, ci si ammazza, e si ammazzano soprattutto i giovani, solamente perché questi sono l'espressione del sistema politico, economico, sociale che c'è in Italia.


(0.02.45)

Questa che io ho detto può essere una spiegazione.

Per esempio, nei gruppi armati ammazzano il giovane di 19 anni, poliziotto, solo perché, indossando la divisa di militare, di soldato, è l’espressione del potere costituito.

Ammazzano il magistrato perché anch’esso è l’espressione dell’altro aspetto del potere politico.

Ammazzano il medio dirigente borghese perché anch’esso espressione di un altro aspetto del potere politico.

La domanda è questa: può essere che in Italia tutto questo può avere una mente direttiva, dal momento che si colpisce un nemico, o un qualche cosa che non ha un aspetto ben definito, cioè lo stato, le strutture.

Cioè si lotta contro qualcosa di indefinito oppure è un terrorismo giovanile che è guidato da qualcosa che è al di fuori dell'Italia stessa, per altri fini?

Capisco che la domanda è un po’ troppo particolare, però è l’aspetto stesso del terrorismo che stiamo vivendo in questi giorni.

Cadono i giovani uno dopo l’altro …. Che spinge a formulare questa domanda.

Terrorismo che non ha niente di simile, rispetto a tutte le altre parti del mondo.

E’ un mondo in ebollizione, quello che stiamo vivendo.

Ma in Italia c’è questa connotazione diversa.

A.: Anzitutto, ancora una volta mi rendo conto sulla diversità della concezione del tempo vostro e nostro.

Le cose che tu hai detto, nel modo come le hai dette, hanno riportato al mio ricordo altre cose udite, e dette, in una prospettiva storica diversa, ma di altri secoli del passato.

Voglio dire che, in realtà, c'è sempre stato qualcosa del genere.

In forme diversissime, si capisce.

le motivazioni erano più circoscritte, ma, da quel che io posso sapere, anche in altri secoli, e in quasi tutti i secoli, vi sono state lotte occulte contro il potere, e poteri contro altri poteri.

La gente spariva letteralmente, come inghiottita dal nulla.

Oggi, so che erano uccise, cadevano per mezzo di sicari, uomini di governo, uomini di segreterie, militari, e venivano trovati morti agli angoli delle strade.

(0.06.39)

Questo perché altri gruppi di potere, o che miravano al potere, tentavano di scardinare il prestigio di quel potere costituito, oppure di metterlo alle corde o, semplicemente, di eliminarlo fisicamente.

C'è sempre stato, voglio dire, questo.

In genere, quando è che accade poi in un modo più evidente, diciamo più pubblico?

Quando, naturalmente, un potere è in crisi, logoro.

Ed allora la fiammata della ribellione o della protesta assume toni più evidenti.

E' inutile fare il discorso sui molti tipi di violenza, perché certamente lo conoscete; cioè che a violenza non è soltanto quella cruenta che uccide, ma ve ne sono altre, altre che può aver esercitato lo stesso potere sui cittadini, volontariamente o involontariamente, più spesso involontariamente, ma talvolta volontariamente.

Ed è il potere che tiene, ad esempio, in soggezione una parte dei cittadini, che li elimina fisicamente e psicologicamente, per esempio, non creando lavoro, non incentivando lo studio, non provvedendo ad eliminare le crisi di solitudine, nel non producendo cultura, per sostituire le culture vecchie.

Sono tutti modi per operare violenza su determinate generazioni, delle quali poi non ci si può meravigliare se rispondono con l'unico tipo di violenza possibile, non avendo la macchina del potere, e non potendo produrre una contro-violenza organizzata, del tipo o come invece può farlo la storia e lo Stato o il potere, la violenza unica rimane quella della soppressione fisica degli avversari o di quelli che vengono identificati come il potere dell'avversario.

Posta questa premessa, che, naturalmente, non è, e né sarà mai una giustificazione di qualsiasi violenza, ma, diciamo, è una interpretazione di quello che accade nel fondo, direi, dietro, occultato, si deve considerare un altro aspetto della violenza: la violenza come gioco.

La violenza come gioco, e siamo, probabilmente, in una interpretazione storica più attuale, dei vostri giorni.

La violenza come gioco non nasce da un puro atto schizofrenico, non nasce da una semplice concezione della persecuzione da parte dello Stato, ma si innesta però, su quel fondo, diciamo, su quell’alterato ormai rapporto fra insufficienza del potere e bisogni dei cittadini, o di una parte dei cittadini, parte da lì, e si esplica nella modalità più consentita e più congeniale, che è quella di trasformare la protesta violenza in un gioco.

E non vi è alcun dubbio che ci sia l’aspetto del gioco

Che esisteva anche ai miei tempi, il gusto, il piacere di mettere in scacco l'avversario.
Il gusto di giocare con il potere, con l'apparato militare dello Stato, il sentirsi investiti dalla sacralità di una sorta di patriottismo, l'identificazione, dunque, in un motivo, l’identificazione in una realtà, in una rivoluzionarietà .

(0.12.44)

Il ritrovarsi identificato in un individui che lotta, e quindi riappropriarsi di tutto ciò che, in base al discorso precedente, lo Stato non è riuscito a dare.

Ed allora, una determinata generazione, determinati gruppi, si auto-investono proprio di quelle qualità di riconoscimento, di auto-riconoscimento, di auto-identificazione, a fronte della spersonalizzazione e della de-identificazione che lo Stato ha fatto; indipendentemente dalle motivazioni, perché uno Stato non è un ente concreto, non è una persona fisica.


Lo Stato ha nella sua stessa definizione, o definibilità, il principio della sovranità, che è un principio astratto sì, ma concreto nel momento in cui opera a nome proprio, l’astrazione diventa realtà.

Ma lo Stato è una forza che non agisce in proprio, ma agisce in parte per volontà di uomini, e in parte per necessità storica.

Spesso una rivoluzione, direi quasi sempre, anzi, , una rivoluzione è contro gli uomini, e tu hai usato il termine sistema, o contro il potere, mai contro lo Stato.

Perché uno Stato di per sé non è aggredibile.

Non è aggredibile perché non è una persona fisica, è un principio, ed è lo stesso principio che anche i rivoluzionari riconoscono nella loro rivoluzione, quindi è un contro-Stato contro lo stato, ed è Contro-Stato finché è all'opposizione, che diventa Stato nel momento in cui entra nella legalità.

Anche perché un territorio non può avere perennemente uno Stato e un contro-Stato; non esistono mai due Stati, ma sempre uno soltanto, nell'ambito delle frontiere e della territorialità.

Ed allora il problema è, dunque, a mio avviso, un problema esclusivamente di gioco da una parte, motivato però, molto, ampiamente e profondamente dalle motivazioni che ho detto prima.

Ora, quando mi si chiede, mi si potrebbe dire, come sia possibile passare da una protesta rivoluzionaria, se vogliamo anche culturale, ad una protesta di fatto che comprende l'uccisione di uomini, dirò che questa è la cosa che mi sorprende di meno, tutto sommato, forte di un'esperienze millenaria che mi ha visto, naturalmente, in tante occasioni osservare morti ed uccisioni per cause ancora più futili, dirò, o guerre ancora più futili, dove in un sol colpo muoiono migliaia di persone, intendiamoci.

Dunque la tecnica o la mossa dell'uccisione sistematica, e quindi di una rivoluzione all'interno di uno Stato, non è che mi sgomenta particolarmente.

(0.17.14)

Lo ripeto, sono sempre troppo pochi i morti, di fronte ad una guerra immediata che ne uccide tanti; guerre immediata e spesso immotivata, diciamo, o per questioni puramente di principio, o per questioni puramente economiche.

Mentre non mi sembra di non riscontrarvi matrici schiettamente economiche, nel fenomeno che si sta verificando nella vostra umanità, non schiettamente economiche.

Voglio dire che, indubbiamente, c'è all'interno anche una forza economica che agisce, o uno scopo economico, ma questo è in second'ordine di fronte agli scopi psicologici, alle motivazioni psicologiche.

In base a queste motivazioni psicologiche un uomo può tranquillamente ucciderne un altro, è sempre stato così, in quanto la molla psicologica fa diventare di un uomo, a seconda di come lo si definisce, o un assassino o un patriota; intendiamoci, qui si tratta solo di scegliere.

Nell'epoca delle grandi rivoluzioni, per gli avversari si parlava di delinquenti comuni, per gli altri si parlava come di patrioti.

Quasi sempre la storia, che è scritta dai vincitori, li definisce patrioti.

Quindi si tratta soltanto di scegliere la definizione e di non lasciarsi molto incantare, per così dire, dalla emotività immediata degli uomini morti e di quelli che li hanno uccisi.

Ma a mio avviso il discorso dev'essere approfondito in altra misura.

Naturalmente, come ai tempi in cui sono vissuto, io non ho mai accettato l'ipotesi che ci si dovesse fare giustizia con la morte; naturalmente ancor meno posso accettare un principio del genere ora che non sono più tra i viventi.

Quindi, le motivazioni o le giustificazioni hanno, naturalmente, un valore puramente teorico.

D'altra parte vorrei, però, fare una distinzione subito.

Indubbiamente, la realtà che voi vivete è una realtà molto diversa dalla nostra, e io mi rendo conto che dicendo: non accetto la violenza in nessun caso, faccio un'operazione che è per metà spirituale e per meta retorica.

Perché la mia affermazione non significa niente.

Non significa niente perché mi rendo conto che se dovesse valere in assoluto, la storia non si sarebbe mossa di un palmo.

Dunque è indubbiamente retorica spirituale, proprio nella misura in cui proviene da chi non è impegnato in prima persona in un processo di una rivoluzione, in un momento storico qualsiasi, me ne rendo conto.
(0.21.03)
Così come mi rendo conto, naturalmente, che in alcuni casi la rivolta è sacrosanta.

Perché non è vero che la legge dello spirito invita al succubismo, la legge dello spirito invita alla giustizia, a ripristinare la giustizia.

Gli uomini hanno i mezzi che hanno e gli spiriti ne hanno altri, e Dio ne ha altri ancora, ma quando si è sulla Terra, Dio non è presente e non è presente nemmeno lo spirito, senza un corpo, e dunque gli uomini possono agire come pare loro e non si può naturalmente disconoscere che in moltissimi casi molte rivoluzioni sono state giuste, altrimenti non avreste quello che avete, storicamente, nella vostra cultura, nelle vostre tradizioni; sareste insomma degli esseri diversi.

Però, come in tutte le rivoluzioni, io sostengo che esse non sempre e necessariamente vanno fatte con la violenza, perlomeno non con un certo tipo di violenza.

Mi rendo però anche conto, immediatamente, che se si toglie la violenza, determinati gruppi sociali sono completamente emarginati, cioè non hanno alcuna concreta possibilità, perché tutto il potere è dall'altra parte, compreso il controllo sul potere stesso e compreso, altresì, il controllo sugli emarginati stessi.

Mi sono trovato in molte circostanze del genere durante la vita.

Qualche volta per vigliaccheria, devo dire, non ho accettate delle mosse più rivoluzionarie, altre volte le ho accettate; complessivamente non mi pento di nessuna delle due azioni, perché, in realtà, ciascuna ha costituito un’esperienza a sé, e quindi alla fin fine, ciascuno sceglie liberamente in proprio, assumendosi la responsabilità del fare o del non fare.

Questo per voler precisare che, comunque, non si deve considerare soltanto a cuor leggero da una parte chi colpisce e dall’altra chi è colpito.

In tutte le guerre, in tutte le rivoluzioni, ma anche senza le rivoluzioni, in tutti i tempi sociali, vi sono state le vittime e gli innocenti, certamente innocenti, e quelli che li hanno uccisi; potrei anche dire a volte anch'essi innocenti, dipende dalle circostanze.

E’ chiaro che nessun uomo è, personalmente e materialmente, responsabile di un potere, a meno che non lo eserciti in proprio e direttamente, come è accaduto molte volte nella storia.

In tutti i casi non sempre tutti i poteri, anche assoluti, sono negativi.

Nella stessa storia ci sono casi di positività di poteri assoluti, dunque non si può fare di tutta l’erba un fascio.

Voi state attraversando un periodo di crisi che, sempre riconfermo, è un periodo di crescita.
Naturalmente, state combinando anche una quantità di guai, ma anche delle cose molto utili.

(0.25.17)

In tutti i casi, una maggiore emersione della coscienza individuale, una maggiore riflessione, che i temi della storia vi impongono.

Talvolta una maggiore pigrizia, talvolta un'assuefazione, talvolta uno stupore doloroso, talvolta uno stupore curioso.

Gli uomini sono un po’ sadici e spesso manifestano questo loro sadismo, così come talvolta sono masochisti e trasformano anche la sofferenza in un sottile piacere.

Da questo punto di vista non è che gli uomini siano un po’ strani, sono semplicemente uomini fatti così.
Cos'altro posso dire?

Posso semplicemente aggiungere che tutte le parole retoriche non servono assolutamente a niente.

E non servono a niente rivolgendomi a voi, e non servirebbero a niente rivolgendomi ad altri.

Non servirebbero a niente rivolgendomi a voi perché, più o meno, siete tutti sazi, ed essendo sazi non potete capire chi non lo è.

Naturalmente non posso rivolgermi ad altri perché potrei trovarli nella stessa situazione di sazietà o nella situazione del potere da conservare gelosamente.

Potrei rivolgermi a coloro che potere non hanno, ed allora potrei dire loro che esistono tante altre strade per modificare la realtà.

A mio avviso le principali strade sono quelle di, anzitutto, non lasciarsi plagiare da idee e ideologie che possono anche essere rivoluzionarie, ma possono anche essere sbagliate.

Non è detto che tutto ciò che è rivoluzionario sia giusto, anzitutto.

Poi, spesso, le rivoluzioni ottengono il potere e cadono nella sua stessa trappola del potere.

Perché gli errori sono negli uomini, soprattutto.

E dunque, chiunque cerca di prendere il potere, prima o poi ripropone e ripete il potere precedente, non può farne a meno, è vittima della storia, non c'è niente da fare.

Sì, un potere può modificare certe cose; altre può avere interesse a non farle, altre a farle; di solito accade sempre così.

Dunque, che nessuno s'illuda, chiunque ha il potere commette errori, oppure volontariamente sceglie determinate strade, che altri definiscono errori, perché non può fare diversamente.

(0.28.56)

Vedete, e indubbiamente …… - e qui, come prima ho preso una relativa difesa, se vogliamo, della rivoluzione, ora prendo le difese di uno Stato o di un potere.

Un potere non è cosa che, da un giorno all'altro, di lui si può dire: cambia totalmente la realtà.

Un potere non manifesta soltanto leggi.

Un potere, essendo fatto dagli uomini, e purché, naturalmente, volontariamente e deliberatamente, non si voglia tenere in soggezione una parte del popolo, un potere è vittima di se stesso, del suo stesso ingranaggio.

Un potere non può dire: da domani tutti i cittadini guadagneranno, che so, mille danari al giorno, non può dirlo e non può farlo perché è vittima delle leggi dell’economia, le quali sono sovrane in tutti gli apparati politici e in tutto mondo.

Ogni potere è vittima delle leggi economiche, e su questo principio, che è veramente basilare e assoluto, non c'è molto da dire.

La ricchezza non è sempre una cosa che si può dividere con tutti, perché procura la povertà di tutti.

E' vero, che stabilisce così la giustizia per tutti, ma a quel punto non c'è più chi amministra e chi è amministrato, e il mondo non può restare senza amministratori.

E' dimostrabile che l'uomo, allo stato storico attuale, è un essere estremamente debole, ha letteralmente bisogno della figura del padre, ha letteralmente necessità di qualcuno che lo prenda per mano e lo guidi.

Allo stato attuale la maggior parte degli uomini non ha autonomia, non ha libertà interiore, non ha capacità di scelta autonoma.

A tutto questo, diciamo, culturalmente e ideologicamente bisognerà sopperire.

Tutte le psicologie, le sociologie, le filosofie possono parlare di autonomia, di emancipazione, di sviluppo della coscienza, siamo d'accordo su questo discorso, ma siccome il discorso è: da domani in poi, oggi, in questo momento gli uomini si trovano in questa situazione.

Quindi non si venga a parlare di libertà assoluta dell'uomo, perché in questo momento l’uomo non è capace di gestirsi una libertà assoluta.

E’ inutile che si venga a parlare di democraticità, direi, dell'apparato finanziario del mondo, perché il mondo è incapace di potersi economicamente autogovernare, e quindi gli stati, in particolare hanno bisogno di soggiacere alle ferree leggi dell'economia, se non si vuole mandare un Paese allo sbaraglio o allo sfascio completo.

(0.33.06)

Questa è la mia opinione, osservando imparzialmente la realtà.

Che poi, nell'ambito di queste situazioni vi siano gli approfittatori, vi siano gli arricchiti, vi siano quelli che frodano,vi siano i delinquenti politici o i delinquenti economici, bene, questo è il compito di uno Stato che abbia una sana prospettiva di sé di eliminarli.

Ma, eliminati costoro, resta pur sempre uno Stato, un apparato di potere che ha bisogno delle sue leggi economiche per poter mandare avanti l'intero paese.
Quindi non si illuda nessuno di potersi sostituire a queste cose con qualche altra cosa.

Nei Paesi del mondo in cui si è creduto di eliminare il potere capitalistico, non si è fatto altro che riprodurre esattamente lo stesso meccanismo, quindi non è vero affatto che esiste un potere del popolo; il potere del popolo è una pura utopia scritta sulla carta.

Non esiste il potere del popolo, non esisterà probabilmente mai, il potere del popolo.

Perché?

Ma per una ragione, evidentemente, anche spirituale!!!

Perché sulla Terra noi non vi stiamo mandando, direi, tutti santi.

Vi stiamo mandando anche spiriti che iniziano la loro evoluzione, vi stiamo mandando spiriti mediocri, spiriti che hanno tutto da apprendere o spiriti anche grandi.

Ma comunque, la maggior parte di questi spiriti non ha la capacità, spirituale, di poter gestire un alcunché di sé, perché ha ancora bisogno di imparare.

E com'è che poi, entrando in un corpo, si improvvisa, a un certo punto, essere libero, essere democratico, essere saggio ….

Dove la prende questa saggezza che non ha, perché questa evoluzione non ce l'ha ancora?

Questo è il motivo dell'utopia.

Ed allora, in base a questa utopia, si deve pensare progressivamente, coerentemente, culturalmente ad aspirare a tutto questo, a tendere, lasciando che gli uomini maturino, anche nel corso di yna sola vita, affrontare il problema della crescita individuale.

Anche lo spirito migliora parallelamente, si integra meglio nel corpo, ma questo significa che c’è qualcuno che guida e altri che sono guidati.

Ed è assolutamente impensabile che un popolo possa guidarsi.

Voi, fra dieci persone, non riuscite a mettervi d'accordo, immaginiamoci quattro o cinque miliardi di uomini.
(0.36.44)


Dunque diciamo che, così come è organizzata la terra, non è pensabile a questa eliminazione.

Che d'altra parte, spiritualmente, non c'interessa molto, tutto sommato.

Per noi, ricordate, lo spirito è sempre un essere che viene a farsi la sua brava vita sulla terra e dopo se ne torna da noi.

Ed una volta tornato non gli interessa più molto di quello che ha lasciato dietro, perché quello che ha lasciato dietro era un'esperienza come le tante, e gli altri non sono che suoi fratelli che fanno le stesse esperienze.

Dunque, voi vivete, conclusivamente dirò, nel giuoco, per così dire, dei ruoli.

Quello che voi lottate, da una parte come potere, perché anche voi siete il potere, voi che lavorate, voi che siete inseriti, chi più chi meno, nella società, chi più chi meno rappresenta quello che è l’apparato del potere.

Dall'altra parte ci sono quelli che non lavorano, ad esempio, quelli che sono psicologicamente sbandati.

Ma, quando voi parlate di un potere, pensateci un momento, prima di tutto: siete anche voi in questo potere!

Il potere è chiunque, dal suo limite, ha una sfera d'influenza.

C'è il potere del capo famiglia, il potere del padre sui figli, il potere di colui che dirige, che so, i suoi operai, e poi tutte le scale intermedie.

Magari tra colui che dirige e l’ultimo operaio, i poteri intermedi, questa è tutta la scala di poteri, e cos'altro è mai il potere?

O pensate che il potere sia qualcosa di appiccicato al muro sul quale si possano lanciare frecce a volontà?

Questo non esiste, è un'utopia.

Il potere è questo.

C’é un maggiore potere e c’é un minore potere, ma tutti soggiacciono alla stessa logica.

E molti di voi, che hanno un potere minimo, aspirano a un potere massimo.

E' l'ambizione di tutti gli esseri umani.


(0.39.46)

Questa volontà, questo desiderio, questa pulsione di potenza, questo bisogno di emergere, di risalire, di andare sempre più in alto.

Naturalmente, anche in colui che combatte il potere c'e un'ambizione mancata.

Probabilmente gli stessi vorrebbe trovarsi dall'altra parte, e anche questo è un aspetto della questione, anche questo.

Ma naturalmente mi fermo un momento qui perché il discorso è ancora lungo...

D.: Quello che mi ha colpito è che, soprattutto, tu hai usato una parola psicologicamente molto importante, che tra l’altro abbiamo usato anche noi ma, forse, senza renderci conto coscientemente; cioè: il gioco della violenza.

Molte volte noi abbiamo detto anche, letto, sui giornali, sui libri: si gioca al massacro.

E’ una cosa, secondo me, da approfondire, il gioco della violenza, perlomeno psicologicamente.

Anche se non abbiamo usato lo stesso termine non cene siamo resi conto.

A.: Sì, perché io credo molto nel gioco, molto, a tutti i livelli.

Gioca il bambino e gioca l'adulto.

E' il gioco del ruolo.

Il piacere del gioco associato al ruolo, per cui il ruolo diventa un piacere perché è un gioco.

Io, per quel che posso ricordare, ma credo siano fatti anche attuali, il piacere di avere un ruolo di potenza, di vestire una bella divisa, il piacere di avere alcune armi, quindi di sentirsi forte, rispettato, sentirsi mitizzato.

Non c'e cosa peggiore della mitizzazione dell'eroe; l’eroe al negativo o al positivo, la mitizzazione.

Il rivoluzionario sente la mitizzazione, sente di essere odiato, ma rispettato, perché gli altri ne hanno paura di lui.

Il riuscire a creare la paura negli altri è questo un potere, questo è potere!

Il rivoluzionario si sente forte di questa paura che suscita, e questo gli restituisce l’identità, è un uomo, è un essere individuato, quello che gli altri non hanno voluto o potuto che diventasse.



(0.43.12)

Lo stesso potere ufficiale trema davanti a questo altro tipo di potere, e questo lo irrobustisce, lo fa crescere, ed è a questo punto che diventa difficile distruggerlo; diventa difficile perché lui non vive più per se stesso, vive per il mito di se stesso.

Vive anche in una forma di esaltazione paranoica, ma non molto diversa dall’esaltazione paranoica di coloro che detengono il potere ufficiale, intendiamoci.

E qui le somiglianze sono evidentissime; far tremare gli altri, sgomentarli, pubblicizzare al massimo i gesti della violenza e della paura.

Questo, naturalmente, è il massimo piacere che si può trarre da un'operazione del genere.

E Allora, ecco che così si concretizzano e si formano i miti, gli ideali o pseudo ideali, sbagliati o non sbagliati, ma è così che si formano gli ideali, che poi diventa difficile sradicare, molto difficile.

D'altra parte l'eroe, anche al negativo, perché chi fa violenza deve essere guardato sempre al negativo, l’eroe conta su un'altra cosa molto importante: sulla simpatia che finisce col suscitare anche attraverso la morte e il terrore.

E la simpatia è spontanea e naturale nella maggior parte degli uomini che, essendo deboli, tendono a identificarsi nell'eroe.

Ditevelo pure francamente quanti di voi preferirebbero, naturalmente, essere un rivoluzionario e non un anonimo cittadino de1mondo, a questo punto?

A meno che non si sia talmente debole e inerme da non voler essere assolutamente niente.

Ma un uomo che ha ambizione, ed ha un'ambizione frustrata, preferirebbe indubbiamente essere un rivoluzionario, o almeno si identifica, se non ha il coraggio di esserlo.

Questa identificazione è già, inconscia o conscia, simpatia.

…… e allora il mito cresce e non saprei proprio cosa suggerire per eliminarlo.

D.: Poi c’è anche l’incentivo all’emulazione.

A.: L’emulazione, ogni uomo resta come un bambino.

Anche se è maturo ed è cresciuto, in fondo è sempre un essere debole ….

Ditemi.





(0.46.42)


D.: Non so se posso fare qualche altra domanda …

A.: Certo.

D.: Però non su questo argomento.

D.: Ricordiamoci, però, che Corrado aveva fretta di …. comunque ancora un po’ di tempo.

A.: Sentiamo …..

D.: Vorrei proprio passare ad un altro campo.

Da un po’ di tempo mi sto appassionando al problema cosmologico.

Sto leggendo più di un libro.

Ma non dal punto di vista filosofico, dal punto di vista strettamente scientifico.

Adesso vorrei farti alcune domande molto precise.

Non so se è possibile rispondere a queste domande; non perché tu non possa rispondere ma perche vorrebbero risposte che ancora gli uomini non hanno trovato e quindi tu non potresti rivelare.

Le domande è questa qui, le domande, anzi, sono queste qui; adesso le devo anche ricordare …:

L'universo, innanzitutto, è veramente infinito, o no?

Perché si è parlato, come una delle ipotesi, che l’universo sia finito ma illimitato.

La seconda domanda è questa: si ha l'impressione, da una serie di dati, di rilevazioni astronomiche di equazioni matematiche, che l'universo sia in espansione, cioè si dilati, e poiché la dilatazione comporterebbe una diminuzione della densità dell’universo, e poiché si ammette come principio cosmologico che le struttura dell'universo e le proprietà dell’universo sono uguali dappertutto, bisognerebbe ammettere, come ipotesi, che c’è la creazione continua di materia.

La seconda domanda è questa qui: c’è veramente questa creazione continua di materia?

L'altra domanda è questa: come ipotesi dell'origine dell'universo si ammette che ci sia stata, all'inizio, una grande esplosione di una materia che era raccolta e talmente densa, e che aveva raggiunto una tale temperatura per cui, a un certo punto è esplosa mandando nell’universo tutti i frammenti di Gas, di materia e poi si sono formati, per successiva evoluzione, i pianeti.

(0.49.12)

La terza domanda è questa: è veramente nato così l'universo, con questa esplosione?

E se è veramente nato così, prima nell’universo, in questo vuoto, cosa c'era?

A.: Dunque, le tue domande meriterebbero una trattazione un po’ più ampia; ….. sono diverse e sono complesse, ma riduciamole all'essenziale.

Cominciamo un po’ dall'ultima.

Certamente sistemi universali nascono per esplosione.

Ma, ecco, io ho detto sistemi universali e non ho detto universo, proprio perché l’universo, per definizione, per universo si intende tutto; e io invece raggrupperei l'universo in zone o sistemi.

Dovrei cominciare da un discorso un po’ più lungo, e cioè dal fatto che il ragionamento si basa sempre sulla logica formale, lo abbiamo detto altre volte questo.

Basandoci sulle logica formale non si può vedere al di là dei propri occhi, dei propri strumenti e delle proprie ipotesi che, essendo tali, si incardinano proprio nei principi della logica formale.

E quindi, il porsi al centro dell'universo ed il dire: l’universo è questo, dove siamo noi, dove siamo nati, dove nasceranno gli altri e dove non c'è altro.

Invece no, le cose non stanno così..

Voi fate parte di un sistema dell'universo, e ne esiste in numero infinito, diciamo provvisoriamente, o incredibilmente alto, potremmo anche dire, ma diciamo infinito. …..


D.: Però ciò è notevolmente diverso...

A.: Lo so, lo so che è notevolmente diverso.

Diciamo un numero infinito di sistemi.

Per cui questo sistema presenta fenomeni di esplosione, di nascita di materia, di trasformazione di materia,




 

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